Prefazione
Nostro preliminare dovere è quello di precisare che il Museo del costume e della moda siciliana del Comune di Mirto (ME), ha le caratteristiche di: “struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio” ( art. 101 d.l. 22 gennaio 2004, n.42- Codice dei beni culturali e del paesaggio, in riferimento all’Italia. Nonché di essere: “ Una Istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E’ aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto le espone ai fini di studio, educazione e diletto ( statuto dell’Iternarnational council of museums ).
Il museo della moda e del costume di Mirto, presenta i requisiti in premessa, cui non può sottrarsi alcun museo pubblico. Le collezioni private, pur meritevoli, non hanno questi obblighi e non debbono rispondere, ad Autorità superiori, del loro operato. Pertanto anche l’acquisizione di abiti che venivano comprati all’estero, da chi ne aveva la possibilità, debbono contenere ogni notizia utile che li contestualizzi, come acquisizioni di manifattura non siciliana. Va precisato che, per ragioni di filologia programmatica, per quanto è possibile, in ordine territoriale e temporale, si sono ricercati e si continuerà a farlo, con certosina pazienza, capi che rappresentino la Regione Sicilia, limite che ne contiene l’oggetto e che non può essere oltrepassato. Cioè a dire, l’acquisizione di manifattura prettamente regionale, sebbene influenzati da stili d’Oltralpe. D'altronde è noto che le nostre sarte o sarti francesizzavano i loro nomi, per una sorta di vanità esterofila di tendenza.
Il museo, ha sede presso palazzo Cupane, di proprietà comunale. La gestione , con deliberazione consiliare è stata, attribuita ad un C.D.A. di 5 mebri e al Direttore. E’ dotato di una tesoreria, allo stato, presso l’ufficio postale del Comune, di un inventario patrimoniale, debitamente vidimato, da un registro delle firme dei visitatori, di un protocollo di un regolamento interno, di una reception, di n. cinque unità che si alternano per l’apertura giornaliera del museo, eccetto il lunedì, e la gestione ordinaria. Il museo, edificio e patrimonio, hanno il vincolo della Soprintendenza ai BB:CC: di Messina. Il museo promuove manifestazioni culturali ed interagisce, previo parere della Soprintendenza, con altre realtà culturali, non solo nazionali, ma anche estere. E’ stato oggetto di tesi universitarie e di testi di esperti del settore.
Tanto si è voluto premettere, in ossequio dei moderni criteri cui deve attenersi un museo pubblico. Il museo, non può come in passato, costituire, pagato il biglietto d’ingresso, solo dei percorsi visivi, transitori e fugaci né, pur trattandosi di edifici storici di complessa struttura, può esimersi da eliminare, per quanto è possibile, le barriere architettoniche ed adeguarsi a quelle sulla sicurezza, al fine di consentirne la fruizione a disabili ed anziani. deve piuttosto dotarsi di spazi che consentano la visone di testi pertinenti l’oggetto museale; per il riposo ed un minimo di ristoro. Deve inoltre promuovere corsi d’apprendimento specifici per il settore del tessile e delle tecniche sartoriali e, porsi, nell’ambito territoriale come punto attrattivo per un indotto costituito come “ occasione” di chi, a vario titolo , ne abbia interesse.
Intorno agli anni 90, quando già il palazzo era stato restaurato, era un contenitore in attesa di contenuto e, l’arch. Miraudo , era il possessore di un discreto numero di abiti di varie epoche che aveva collezionato, portato anche dal fatto che cominciava ad occuparsi di scene e costumi di spettacoli teatrali e cinematografici.
Il caso volle che queste due realtà si incontrassero ed ancor più importante, incontrassero il favore dell’allora Amministrazione Comunale . L’idea di un museo del costume e della moda siciliana, con i dovuti pareri, trovò forma giuridica pubblica con la prima deliberazione consiliare N.15 DEL 28 Giugno 1991 che ne approvava l’Istituzione in attuazione delle linee guida dello statuto comunale vigente; ( anche se a quella data, risultava come sezione di un museo etno- antropologico, in seguito, modificato a solo museo del costume e della moda siciliana).
Il museo cresceva, lentamente e metodicamente grazie anche alle spontanee donazioni di generosi e sensibili possessori di pregevoli testimonianze di capi di vestiario che di oggetti di particolare pregio, di diverse parti dell’Isola. Si è evitato , in questa sede di nominarli tutti poiché l’elenco è abbastanza nutrito: ma il visitatore del museo troverà nella scheda di ogni capo o oggetto, notizie dettagliate sulla loro appartenenza.
Si andava, man mano, delineando un percorso storico sociale che dal 700 arrivava agli anni 40 del XX sec. Il pregio ed il significato delle acquisizioni e donazioni cominciavano , come fotogrammi di una pellicola a raccontare la “ storia di stoffa “ della Nostra Sicilia. L’abito, allora,dava, a colpo d’occhio, la collocazione sociale delle classi della compagine civica: non si poteva sbagliare, costituiva un vettore indicativo immediato e preciso. In questo contesto trovano collocazione anche i “costumi “ di colonizzazioni stanziatesi nell’Isola e sbrigativamente denominati “etnici”. Piana degli Albanesi resta l’esempio più noto. Una notazione particolare va alla grande e raccolta di ricami dell’intimo, soprattutto femminile, ma non manca una serie di abiti da battesimo di pregevolissima fattura. Di particolare importanza è la vastissima serie di cappelli da donna, ma anche da uomo, di preziosissimi ombrellini e ventagli e guanti e scialli. Il patrimonio museale ormai ha superato le migliaia di pezzi d’esposizione.
I due eventi bellici che del XX secolo, soprattutto il secondo ,che si protrasse ’ fin quasi alla metà del secolo, rappresentano nel contesto sociale la vera profonda linea di demarcazione di un prima e di un dopo.
Nel “prima” la distinzione immediata è tra il coprirsi ed il vestirsi. La nostra Sicilia era stata oggetto di 12 dominazioni ed in qualche modo ne portava i segni in modo più o meno indicativo che ruotavano attorno alle Casate dominanti e nei feudi di loro pertinenza o in villaggi di pescatori ( abbiamo indirettamente citato Verga). La gran parte di contadini era alle loro dipendenze: nel museo si trova una campionatura sia degli abiti da lavoro che per quelli della “ domenica “ e delle feste comandate, cioè i momenti collettivi attorno ai sagrati delle chiese, nelle piazze. Il vestiario della vita contadina, maschile e femminile è, per ragioni oggettive , per lo più introvabile.
Dopo la: “ felice annessione” o “ conquista” della Sicilia, al Regno d’Italia ( l’ultima dominazione) , a seguito dell’epopea garibaldina (al museo si conserva, una rara “ camicia rossa “ del garibaldino Antonino Scionti, donata da dott. Givanni Grasso
I “ Picciotti “ in camicia rossa riposero ogni fiducia nell’” Eroe “ Garibaldi liberatore e, per quell’ideale ci persero la giovane vita. Ben presto la realtà si mostrò così com’era. I contadini che reclamavano le terre promesse ( Bronte ) furono passati per le armi e, i c.d. “ Briganti “ si rifugiarono sui monti. Quando scesero, dopo non molto, furono chiamati “Mafia”. La Sicilia che non ebbe una vera e propria borghesia imprenditoriale; restò, in tutti i sensi, alla periferia della storia che avanzava, anche dopo la promulgazione della Costituzione italiana, ed allo Statuto Speciale, approvato con R.D.L. 15 maggio 1946,n.455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.2 . L’artigianato del tessile: del taglio e cucito e soprattutto del ricamo, fonte primaria di reddito dell’Isola perdurò, fino a scomparire del tutto, fino agli anni 60 -70 del XX secolo.
Alcuni gradini più in alto si posizionano commercianti ed artigiani che avevano possibilità di spostarsi per ragioni di forniture di merci nelle città, a dorso di mulo:” il Re stesso” scriveva nei primi dell’800 un tedesco , “ se vuole andare in carrozza, non può farlo oltre Monreale e Termini “. “Le altre eran sentieri ( trazzeri), dove si affondava nel fango a mezza gamba d’inverno, e si soffocava tra fitti nembi di polvere, di estate. “( G: Pitre’- la vita a Palermo cento e più anni fa.).
l’alta borghesia e le aristocrazie del nostro Sud, sono attente agli ordini di Londra, Parigi e Vienna. La diffusione del lungo viaggio “grand tour” nei paesi mediterranei di intellettuali o di aristocratici rampolli aveva quasi un valore “ iniziatico “ non solo per visitare le grandi rovine archeologiche o le grandi opere del Rinascimento ma anche per venire a contatto con altri popoli e culture e di altre “ particolarissime” esperienze. Jean-Pierre Houel , così come per altri versi tanti altri visitatori stranieri del “ gran Tour” (i viaggiatori più noti del Grand Tour in Sicilia possiamo ricordare: Goethe, Guy de Maupassant, Edmondo De Amicis, , il Barone Von Riedsel, Patrick Brydone , Algernon Swinburne, Vivant Denon, Didier, Francis Elliot, Emerson Farjasse, Alexandre Dumas padre etc. ) si soffermò due volte in Sicilia ed eseguì circa 200 tavole riguardanti archeologia e costumi isolani, dove, per le donne, nel pubblico, si sente ancora forte la tradizione araba.
Altre tipologie di scialli vennero usati, per i matrimoni, non essendo ancora stato importato l’abito bianco. Di questi bellissimi scialli di seta, se ne conserva ancora qualcuno, gli altri furono trasformati in abiti per le ragazze da marito durante e dopo la seconda guerra mondiale.
La classe dei professionisti e dei tutori dell’ordine si distingueva da quella dei commercianti per una maggior contiguità con la Nobiltà ed il Grande Clero. La nobiltà isolana del 700 guardava alla Francia: “ La moda, che per lungo volger di tempo, fu spiccatamente spagnuola, nella seconda metà del settecento fu senz’altro francese, o infranciosata. , Però, mentre le donne della campagna conservavano qualche cosa del vestito antico (v. incisione di Houel ), le civili di Palermo, Messina, Catania ecc. indossavano lunghi manti neri , che scendendo dal capo coprivano interamente il volto. Del medesimo costume si serviron le grandi dame quando di mattina si recavano in chiesa: ma preferivano il bianco od il varopinto,che era di seta e formava un “ negligé ricco e piacevole.” ( G. Pitre’ , idem Cap.XX, pag, 305). Il museo possiede diverse testimonianze di vestiario femminile e maschile del 700 ed uno da ragazzino integro.
Finalmente i “ gattopardi “ che nelle loro principesche dimore delle maggiori città siciliane profusero tanto “ oro zecchino “ e tanta magnificenza, anche nello stile di vita, da dilapidare intere fortune. Il loro modo di vestire rifletteva quello delle famiglie regnanti i Borbone, l’ultimo dei quali : Francesco II sposò Maria Sofia di Baviera, sorella di Elisabetta d’Austria (Sissi) alla quale guardarono le principessine isolane torturate dalle stringhe di corsetti a vita di vespa. Il museo possiede una discreta campionatura di abiti che rimandano a crinoline , sete, merletti, decolleté’, nastri, fiori di zagara, ombrellini, guanti e quant’altro, foto d’epoca ed il cinema d’autore, ci ha fatto vedere ( per tutti il Gattopardo di L. Visconti ).
Mirto , è situato su una collina, quasi a metà strada tra Palermo e Messina, la parte, presenta una più densa vegetazione boschiva, nonostante le devastazioni degli incendi dolosi e degli abusivismi edilizi. La presenza prevalente nel territorio di alberi di quercia e di gelsi cui si aggiunse la coltivazione del lino, testimoniano come l’economia prevalente sia stata quella dell’allevamento dei suini, del baco da seta: “nutricato”, non solo nelle campagne, ma persino nelle case di paese, i cui “ bozzoli” venivano portati a Messina per la lavorazione. Riguardo al procedimento della lavorazione del lino, che veniva posto nelle acque del vicino torrente, poi battuto, cardato ed infine lavorato ai grandi telai, provocò condizioni adatte per la presenza della zanzara “Anopheles”, vettore principale della “malaria”.
Abbiamo detto delle materie prime e quindi del “tessile “ come voce primaria dell’economia di questi piccoli centri. A Mirto, fino agli anni 40-60, su una popolazione di 1.700 abitanti si contavano circa 10 sarti da uomo, almeno 15 sarte da donne; tre telai che fornivano tela di lino grezza alle ricamatrici. Fino agli anni 50-60 vi era un negozio di stoffe, uno di scarpe e varie mercerie. Piccola aristocrazia, professionisti, impiegati dello stato che, costituivano la media piccola borghesia, anche per mancanza di mezzi di trasporto, si rifornivano in loco, incrementando l’economia reale. Le ragazze da marito o si sposavano ben presto e dovevano portare in dote la “ roba blanca “cioè a dire una coppia di materassi e cuscini, delle tovaglie, un piccolo podere con casetta rurale. Il marito portava gli utensili necessari alla coltivazione della terra. Quelle che non trovavano marito ( in giovane età ) andavano a servizio dai “ signori “ o appunto “ ci perdevano gli occhi a ricamare “ così come le monache e le orfanelle. Le aristocratiche, rimaste nubili, andavano in convento o, qualche volta, venivano sposate da parenti vedovi o celibi. Vi erano tante altre attività artigianali in diversi altri settori. un mondo che Scomparve quando subentrò la “ produzione in serie”. Oggi, si assiste ad timido ritorno di tendenza, anche se si è persa la maestria artigianale e la domanda dei committenti privati .
Con il XX sec inizia una svolta epocale nel campo delle scienze. Il periodo che riguarderà più da vicino la “moda “ sarà denominato: “Belle Epoque”. Anche se di “ bello” in ciò che si stava preparando c’era ben poco. Eppure la moda, in contrapposizione espresse una creatività, una varietà, un ottimismo insoliti fino ad allora. Per l’abbigliamento femminile nasce la tipica linea dell'epoca a forma di "S", caratterizzata dal petto spinto innaturalmente in avanti , appiattisce lo stomaco ed irrigidisce la schiena. Le gonne si allargano sul fondo per facilitare l’andatura, il ballo e il salire e scendere dalle vetture. Le calzature sono gli stivaletti in vernice o capretto. Gli abiti da sera, al contrario presentano profonde scollature, colori scuri e paillettes ,lustrini, perline e jais. I tessuti tendono a diventare sempre più : “ nuvole “ Anche l’intimo si adatta alla sensualità dei colori pastello di mussola o di seta. La pettinatura è vaporosa ed evidenziata da piume e fiori di seta. I fascicoli del “magasin des demoiselles” o “Il corriere delle signore “ dei fratelli Treves “arrivavano presso le signore della piccola nobiltà di provincia siciliana ed oltre ai consigli di “ bon ton “ date alle ragazze da marito, venivano raffigurate le ultime tendenze della moda e, in alcuni casi le tecniche per realizzarli.
Rappresentanti indiscussi della “ belle époque” sono: Ignazio Florio e la Musa per eccellenza Franca Jacona della Motta dei Baroni di San Giuliano, dai Siciliani chiamata: donna Franca. Bella, intelligente di raffinata eleganza, con il marito, fu la “regina di Sicilia “ e tra i maggiori capitalisti degli inizi del XX secolo.
Grazie al particolarissimo ruolo, Donna Bianca Florio, attrasse tra Palermo e Taormina l’élite più prestigiosa internazionale del calibro di Re e Regine. Il suo modo di vestire influenzò l’aristocrazia siciliana e non solo; l’attività dei coniugi Florio trasformò gran parte dell’assetto urbanistico di Palermo ( Basile ). Ettore de Maria Bergler rimase il pù rappresentativo pittore dello stile “ floreale” ( vedi villa Igea dei Florio) o di villa Malfitano dei Whitaker. donna bianca ritratta da Boldini
I Florio consapevoli delle potenzialità dell’artigianato Siciliano, vollero imprimere una svolta modernista all’Isola, sia industriale, occupazionale e culturale. Fu un’occasione irripetibile, che lasciò importanti testimonianze, ma che si infranse con loro declino. La Sicilia perse un’occasione le cui conseguenze si protrassero fino ai nostri giorni, soprattutto nella mancanza di infrastrutture e di politiche industriali.
A partire dal 1910 si afferma un nuovo abito dalla linea diritta e slanciata; gonne strette e scomode per camminare .Le stoffe utilizzate per gli abiti sono leggere e trasparenti, sovrapposte fra loro, e spesso ricamate o decorate da strass e perline. I cappelli dalle tese larghissime e con molte decorazioni. Le scarpe per la sera hanno nastri di raso avvolti intorno alla caviglia adatte al nuovo ballo importato dall’argentina, il tango. la perplessità del mondo cattolico erano espresse, ai parroci di Roma, proprio da una nota del Papa del tempo. "con vivo dolore"- si apprendeva dell'introduzione di "una certa danza che, come venne d'oltremare è nel suo appellativo e nel fatto gravemente oltraggiosa al pudore, e che per questo fu già condannata da tanti illustri vescovi e proibita anche in paesi protestanti. In questa triste condizione è necessario che quanti hanno cura di anime levino coraggiosamente la voce in difesa della santità del costume cristiano e si adoperino con vigilanza a tener lontani i fedeli dai pericoli che minacciano di travolgerli nell'immoralità di un nuovo paganesimo."[...]
Con la prima Guerra Mondiale(1914-1918) , con gli uomini ed anche i civili al fronte, tutti gli aspetti della vita quotidiana, vengono sovvertiti. Le donne in particolare: mogli, mondane, oggetto del desiderio , ornamento delle feste, eleganti per forza si trovano a svolgere compiti di esclusiva competenza maschile e per forza di cose iniziano ad entrare nel mondo del lavoro, della fabbrica, degli uffici, dei servizi. Le gonne lunghe e strette precedenti non sono piu’ adatte a questa nuova situazione ed è giocoforza vegano sostituite da gonne piu’ corte e soprattutto piu’ larghe per evitare interferenze con i movimenti .Molti degli abiti di questi anni si rifanno alle divise militari sia nelle forme che nei colori cui debbono adattarsi anche le scarpe, arricchite di fibbie e cinturini. Il busto va scomparendo, sostituito da un prototipo di reggiseno(inventato nel 1909 dallo stilista più in voga Paul Poiret ). Durante la guerra si diffonde anche il tailleur molto semplice, ritenuto più adatto.
TRA LE II GUERRE MONDIALI DEL XX SECOLO :
Le donne , dal conflitto bellico, trassero una consapevolezza delle proprie possibilità fino ad allora del tutto mortificata. Non furono più disposte a fare da tappezzeria di lusso costrette in lussuosissime “ camicie di forza”. Gli abiti da lavoro non erano eleganti , ma venne apprezzata la loro comodità. Negli anni venti, “ finiva un mondo, un altro stava per nascere. Io stavo là; si presentò un’opportunità, la presi. Avevo l’età di quel secolo nuovo che si rivolse dunque a me per l’espressione del suo guardaroba. occorreva semplicità, comodità, nitidezza: gli offrii tutto questo, a sua insaputa “ Il vero “potere “ condizionante” della moda sta tutto in quel “ a sua insaputa” della Chanel, che intuì bene in che cosa consisteva la “magia” della moda. (Cocò Chanel, un secolo di moda italiana). Chanel lanciò la moda del capello corto. Fu una fatalità. Essendosi accidentalmente bruciata i capelli su un fornello, tagliò anche il resto. Dopo poco tempo le giovani alla moda imitarono il suo taglio. Nel 1925 si tenne l’Esposition des Arts Décoratifs et industriels Moderns, una rassegna delle innovazioni nelle arti applicate, che segnò la disfatta dello stilista Paul Poiret, rivale di Coco. Chanel imponeva il nuovo stile la cui parola chiave era comodità. Chanel, tra l’altro, è una delle prime donne ad indossare i pantaloni. Colonna sonora dell’epoca è la musica charleston.
Il punto vita bistrattato per tutti gli anni ’20, è ora valorizzato da cinture, spesso utilizzate anche sui cappotti, rigorosamente lunghi al polpaccio. Le gonne erano accompagnate da camicie o maglioncini. Di giorno, l’eleganza si sposava con il tailleur pantalone, con giacche strette in vita e spalle quadrate grazie a imbottiture interne nascoste. D’inverno, vistosi colli di pelliccia, accompagnati da cappelli dalla visiera ampia. Gli abiti da sera: lunghi e più fascianti sul corpo..Tali abiti si aprono a vertiginose scollature sulla schiena. Torna a essere protagonista il tacco alto. La nuova musa di questo stile fu una sarta italiana emigrata in Francia: Elsa Schiapparelli. Influenzata dal Surrealismo e dal Cubismo ispirò molti dei suoi capi ai quadri di Dalì e Picasso.
MUSSOLINI IL FASCISMO E LA MODA:
Con la presa del potere nel 1922 Mussolini cercherà, secondo i dettami della sua ideologia di contrastare, spesso invano, il modo di vestire delle donne. Il crollo di Wall Street del 29 aveva avuto un effetto recessivo sull’Europa senza precedenti e la crisi occupazionale che ne seguì influenzò anche il mondo della modi di cui Parigi era il “ faro “. Mussolini, aveva, nella rappresentazione del femminile, più l’idea della “ Matrona “ , della “ Mater familiae” di stazza robusta e prolifica, che quello della donna indipendente. Attraverso il “ giornale della donna “, “ Camerate a noi “ il “ Popolo d’Italia “Nel 1935 fu fondato l’Ente Nazionale della Moda con sede a Torino per la diffusione della moda “nazionalista “ nel clima di una sempre più indipendenza da prodotti provenienti dalle’Estero: “ Autarchia “. Il fascismo detestava le “ manichine “ e prediligeva le belle ragazze robuste e mammifere. Nel 1941 entrarono in vigore le tessere per l’abbigliamento, e si dovette ricorrere sempre più a materiali poveri. L’economia di guerra lanciò tuttavia alcune mode: i cappellini con la veletta ma soprattutto le “ scarpe con la zeppa “
Al termine della disastrosa immane tragedia, le italiane si ritrovarono a dover fare i conti con la sopravvivenza giornaliera. Di moda non si parlò per un bel po’.
Abbiamo detto , in apertura di queste sparse considerazioni, come il “ caso “ volle che proprio a Mirto abbia preso forma un museo “ unico “ nel suo genere, di valenza pubblica. E, ancora per una serie fortuita di “ casi “ ci si imbatte in un personaggio a dir poco singolare come “ Mimma Ferraro ,per il tramite del nipote Carmelo e poi della figlia dott.ssa Maria Antonella . “ Madama Ferraro “vestì le signore e signorine della Messina bene e non solo. Mimma, intuì per istinto, ciò che nel 1857 Worth aveva assolutamente voluto per la sua maison. Per Worth e quindi per Mimma, il couturier non era più un semplice artigiano, ma rivendicava un ruolo di lavoratore intellettuale o artistico , che aggiungeva alla sapienza del mestiere la propria creatività e ne richiedeva un riconoscimento specifico a differenza delle copie in serie realizzati per la “massa “ di acquirenti dei “ grandi Magazzini “, fino ad arrivare ai mercatini rionali di piccoli e grandi Centri: “ la negazione” delle fibre naturali, ed il trionfo dell’omologazione in “ acrilico”. Di pregevolissima qualità, sono i capi di alta moda che gli eredi hanno voluto donare al museo .
Un particolare ringraziamento va espresso alla conterranea attrice Maria Grazia Cucinotta, che si è prestata ad indossare un abito del museo, quale ideale portatrice della bellezza sicula e per amicizia con Pippo Miraudo e per l’intelligenza e la generosità che la contraddistinguono.
Un ricordo nasce spontaneo e doveroso per Vincenzo Consolo, uno dei più grandi rappresentanti della narrativa taliana, di recente scomparso, che nei suoi “ ritorni “ in Sicilia non mancava di visitarlo.
Un ringraziamento, va a tutti coloro, che hanno contribuito, ognuno per i propri compiti e le proprie responsabilità alla salvaguardia del museo.
Un grazie infine, a chi , da semplice privato, ha sentito, da cittadino di Mirto, un po’ suo, questo singolare museo.
Prefazione a cura del Direttore
Arch. Giuseppe Miraudo
Nostro preliminare dovere è quello di precisare che il Museo del costume e della moda siciliana del Comune di Mirto (ME), ha le caratteristiche di: “struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio” ( art. 101 d.l. 22 gennaio 2004, n.42- Codice dei beni culturali e del paesaggio, in riferimento all’Italia. Nonché di essere: “ Una Istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E’ aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto le espone ai fini di studio, educazione e diletto ( statuto dell’Iternarnational council of museums ).
Il museo della moda e del costume di Mirto, presenta i requisiti in premessa, cui non può sottrarsi alcun museo pubblico. Le collezioni private, pur meritevoli, non hanno questi obblighi e non debbono rispondere, ad Autorità superiori, del loro operato. Pertanto anche l’acquisizione di abiti che venivano comprati all’estero, da chi ne aveva la possibilità, debbono contenere ogni notizia utile che li contestualizzi, come acquisizioni di manifattura non siciliana. Va precisato che, per ragioni di filologia programmatica, per quanto è possibile, in ordine territoriale e temporale, si sono ricercati e si continuerà a farlo, con certosina pazienza, capi che rappresentino la Regione Sicilia, limite che ne contiene l’oggetto e che non può essere oltrepassato. Cioè a dire, l’acquisizione di manifattura prettamente regionale, sebbene influenzati da stili d’Oltralpe. D'altronde è noto che le nostre sarte o sarti francesizzavano i loro nomi, per una sorta di vanità esterofila di tendenza.
Il museo, ha sede presso palazzo Cupane, di proprietà comunale. La gestione , con deliberazione consiliare è stata, attribuita ad un C.D.A. di 5 mebri e al Direttore. E’ dotato di una tesoreria, allo stato, presso l’ufficio postale del Comune, di un inventario patrimoniale, debitamente vidimato, da un registro delle firme dei visitatori, di un protocollo di un regolamento interno, di una reception, di n. cinque unità che si alternano per l’apertura giornaliera del museo, eccetto il lunedì, e la gestione ordinaria. Il museo, edificio e patrimonio, hanno il vincolo della Soprintendenza ai BB:CC: di Messina. Il museo promuove manifestazioni culturali ed interagisce, previo parere della Soprintendenza, con altre realtà culturali, non solo nazionali, ma anche estere. E’ stato oggetto di tesi universitarie e di testi di esperti del settore.
Tanto si è voluto premettere, in ossequio dei moderni criteri cui deve attenersi un museo pubblico. Il museo, non può come in passato, costituire, pagato il biglietto d’ingresso, solo dei percorsi visivi, transitori e fugaci né, pur trattandosi di edifici storici di complessa struttura, può esimersi da eliminare, per quanto è possibile, le barriere architettoniche ed adeguarsi a quelle sulla sicurezza, al fine di consentirne la fruizione a disabili ed anziani. deve piuttosto dotarsi di spazi che consentano la visone di testi pertinenti l’oggetto museale; per il riposo ed un minimo di ristoro. Deve inoltre promuovere corsi d’apprendimento specifici per il settore del tessile e delle tecniche sartoriali e, porsi, nell’ambito territoriale come punto attrattivo per un indotto costituito come “ occasione” di chi, a vario titolo , ne abbia interesse.
Intorno agli anni 90, quando già il palazzo era stato restaurato, era un contenitore in attesa di contenuto e, l’arch. Miraudo , era il possessore di un discreto numero di abiti di varie epoche che aveva collezionato, portato anche dal fatto che cominciava ad occuparsi di scene e costumi di spettacoli teatrali e cinematografici.
Il caso volle che queste due realtà si incontrassero ed ancor più importante, incontrassero il favore dell’allora Amministrazione Comunale . L’idea di un museo del costume e della moda siciliana, con i dovuti pareri, trovò forma giuridica pubblica con la prima deliberazione consiliare N.15 DEL 28 Giugno 1991 che ne approvava l’Istituzione in attuazione delle linee guida dello statuto comunale vigente; ( anche se a quella data, risultava come sezione di un museo etno- antropologico, in seguito, modificato a solo museo del costume e della moda siciliana).
Il museo cresceva, lentamente e metodicamente grazie anche alle spontanee donazioni di generosi e sensibili possessori di pregevoli testimonianze di capi di vestiario che di oggetti di particolare pregio, di diverse parti dell’Isola. Si è evitato , in questa sede di nominarli tutti poiché l’elenco è abbastanza nutrito: ma il visitatore del museo troverà nella scheda di ogni capo o oggetto, notizie dettagliate sulla loro appartenenza.
Si andava, man mano, delineando un percorso storico sociale che dal 700 arrivava agli anni 40 del XX sec. Il pregio ed il significato delle acquisizioni e donazioni cominciavano , come fotogrammi di una pellicola a raccontare la “ storia di stoffa “ della Nostra Sicilia. L’abito, allora,dava, a colpo d’occhio, la collocazione sociale delle classi della compagine civica: non si poteva sbagliare, costituiva un vettore indicativo immediato e preciso. In questo contesto trovano collocazione anche i “costumi “ di colonizzazioni stanziatesi nell’Isola e sbrigativamente denominati “etnici”. Piana degli Albanesi resta l’esempio più noto. Una notazione particolare va alla grande e raccolta di ricami dell’intimo, soprattutto femminile, ma non manca una serie di abiti da battesimo di pregevolissima fattura. Di particolare importanza è la vastissima serie di cappelli da donna, ma anche da uomo, di preziosissimi ombrellini e ventagli e guanti e scialli. Il patrimonio museale ormai ha superato le migliaia di pezzi d’esposizione.
I due eventi bellici che del XX secolo, soprattutto il secondo ,che si protrasse ’ fin quasi alla metà del secolo, rappresentano nel contesto sociale la vera profonda linea di demarcazione di un prima e di un dopo.
Nel “prima” la distinzione immediata è tra il coprirsi ed il vestirsi. La nostra Sicilia era stata oggetto di 12 dominazioni ed in qualche modo ne portava i segni in modo più o meno indicativo che ruotavano attorno alle Casate dominanti e nei feudi di loro pertinenza o in villaggi di pescatori ( abbiamo indirettamente citato Verga). La gran parte di contadini era alle loro dipendenze: nel museo si trova una campionatura sia degli abiti da lavoro che per quelli della “ domenica “ e delle feste comandate, cioè i momenti collettivi attorno ai sagrati delle chiese, nelle piazze. Il vestiario della vita contadina, maschile e femminile è, per ragioni oggettive , per lo più introvabile.
Dopo la: “ felice annessione” o “ conquista” della Sicilia, al Regno d’Italia ( l’ultima dominazione) , a seguito dell’epopea garibaldina (al museo si conserva, una rara “ camicia rossa “ del garibaldino Antonino Scionti, donata da dott. Givanni Grasso
I “ Picciotti “ in camicia rossa riposero ogni fiducia nell’” Eroe “ Garibaldi liberatore e, per quell’ideale ci persero la giovane vita. Ben presto la realtà si mostrò così com’era. I contadini che reclamavano le terre promesse ( Bronte ) furono passati per le armi e, i c.d. “ Briganti “ si rifugiarono sui monti. Quando scesero, dopo non molto, furono chiamati “Mafia”. La Sicilia che non ebbe una vera e propria borghesia imprenditoriale; restò, in tutti i sensi, alla periferia della storia che avanzava, anche dopo la promulgazione della Costituzione italiana, ed allo Statuto Speciale, approvato con R.D.L. 15 maggio 1946,n.455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.2 . L’artigianato del tessile: del taglio e cucito e soprattutto del ricamo, fonte primaria di reddito dell’Isola perdurò, fino a scomparire del tutto, fino agli anni 60 -70 del XX secolo.
Alcuni gradini più in alto si posizionano commercianti ed artigiani che avevano possibilità di spostarsi per ragioni di forniture di merci nelle città, a dorso di mulo:” il Re stesso” scriveva nei primi dell’800 un tedesco , “ se vuole andare in carrozza, non può farlo oltre Monreale e Termini “. “Le altre eran sentieri ( trazzeri), dove si affondava nel fango a mezza gamba d’inverno, e si soffocava tra fitti nembi di polvere, di estate. “( G: Pitre’- la vita a Palermo cento e più anni fa.).
l’alta borghesia e le aristocrazie del nostro Sud, sono attente agli ordini di Londra, Parigi e Vienna. La diffusione del lungo viaggio “grand tour” nei paesi mediterranei di intellettuali o di aristocratici rampolli aveva quasi un valore “ iniziatico “ non solo per visitare le grandi rovine archeologiche o le grandi opere del Rinascimento ma anche per venire a contatto con altri popoli e culture e di altre “ particolarissime” esperienze. Jean-Pierre Houel , così come per altri versi tanti altri visitatori stranieri del “ gran Tour” (i viaggiatori più noti del Grand Tour in Sicilia possiamo ricordare: Goethe, Guy de Maupassant, Edmondo De Amicis, , il Barone Von Riedsel, Patrick Brydone , Algernon Swinburne, Vivant Denon, Didier, Francis Elliot, Emerson Farjasse, Alexandre Dumas padre etc. ) si soffermò due volte in Sicilia ed eseguì circa 200 tavole riguardanti archeologia e costumi isolani, dove, per le donne, nel pubblico, si sente ancora forte la tradizione araba.
Altre tipologie di scialli vennero usati, per i matrimoni, non essendo ancora stato importato l’abito bianco. Di questi bellissimi scialli di seta, se ne conserva ancora qualcuno, gli altri furono trasformati in abiti per le ragazze da marito durante e dopo la seconda guerra mondiale.
La classe dei professionisti e dei tutori dell’ordine si distingueva da quella dei commercianti per una maggior contiguità con la Nobiltà ed il Grande Clero. La nobiltà isolana del 700 guardava alla Francia: “ La moda, che per lungo volger di tempo, fu spiccatamente spagnuola, nella seconda metà del settecento fu senz’altro francese, o infranciosata. , Però, mentre le donne della campagna conservavano qualche cosa del vestito antico (v. incisione di Houel ), le civili di Palermo, Messina, Catania ecc. indossavano lunghi manti neri , che scendendo dal capo coprivano interamente il volto. Del medesimo costume si serviron le grandi dame quando di mattina si recavano in chiesa: ma preferivano il bianco od il varopinto,che era di seta e formava un “ negligé ricco e piacevole.” ( G. Pitre’ , idem Cap.XX, pag, 305). Il museo possiede diverse testimonianze di vestiario femminile e maschile del 700 ed uno da ragazzino integro.
Finalmente i “ gattopardi “ che nelle loro principesche dimore delle maggiori città siciliane profusero tanto “ oro zecchino “ e tanta magnificenza, anche nello stile di vita, da dilapidare intere fortune. Il loro modo di vestire rifletteva quello delle famiglie regnanti i Borbone, l’ultimo dei quali : Francesco II sposò Maria Sofia di Baviera, sorella di Elisabetta d’Austria (Sissi) alla quale guardarono le principessine isolane torturate dalle stringhe di corsetti a vita di vespa. Il museo possiede una discreta campionatura di abiti che rimandano a crinoline , sete, merletti, decolleté’, nastri, fiori di zagara, ombrellini, guanti e quant’altro, foto d’epoca ed il cinema d’autore, ci ha fatto vedere ( per tutti il Gattopardo di L. Visconti ).
Mirto , è situato su una collina, quasi a metà strada tra Palermo e Messina, la parte, presenta una più densa vegetazione boschiva, nonostante le devastazioni degli incendi dolosi e degli abusivismi edilizi. La presenza prevalente nel territorio di alberi di quercia e di gelsi cui si aggiunse la coltivazione del lino, testimoniano come l’economia prevalente sia stata quella dell’allevamento dei suini, del baco da seta: “nutricato”, non solo nelle campagne, ma persino nelle case di paese, i cui “ bozzoli” venivano portati a Messina per la lavorazione. Riguardo al procedimento della lavorazione del lino, che veniva posto nelle acque del vicino torrente, poi battuto, cardato ed infine lavorato ai grandi telai, provocò condizioni adatte per la presenza della zanzara “Anopheles”, vettore principale della “malaria”.
Abbiamo detto delle materie prime e quindi del “tessile “ come voce primaria dell’economia di questi piccoli centri. A Mirto, fino agli anni 40-60, su una popolazione di 1.700 abitanti si contavano circa 10 sarti da uomo, almeno 15 sarte da donne; tre telai che fornivano tela di lino grezza alle ricamatrici. Fino agli anni 50-60 vi era un negozio di stoffe, uno di scarpe e varie mercerie. Piccola aristocrazia, professionisti, impiegati dello stato che, costituivano la media piccola borghesia, anche per mancanza di mezzi di trasporto, si rifornivano in loco, incrementando l’economia reale. Le ragazze da marito o si sposavano ben presto e dovevano portare in dote la “ roba blanca “cioè a dire una coppia di materassi e cuscini, delle tovaglie, un piccolo podere con casetta rurale. Il marito portava gli utensili necessari alla coltivazione della terra. Quelle che non trovavano marito ( in giovane età ) andavano a servizio dai “ signori “ o appunto “ ci perdevano gli occhi a ricamare “ così come le monache e le orfanelle. Le aristocratiche, rimaste nubili, andavano in convento o, qualche volta, venivano sposate da parenti vedovi o celibi. Vi erano tante altre attività artigianali in diversi altri settori. un mondo che Scomparve quando subentrò la “ produzione in serie”. Oggi, si assiste ad timido ritorno di tendenza, anche se si è persa la maestria artigianale e la domanda dei committenti privati .
Con il XX sec inizia una svolta epocale nel campo delle scienze. Il periodo che riguarderà più da vicino la “moda “ sarà denominato: “Belle Epoque”. Anche se di “ bello” in ciò che si stava preparando c’era ben poco. Eppure la moda, in contrapposizione espresse una creatività, una varietà, un ottimismo insoliti fino ad allora. Per l’abbigliamento femminile nasce la tipica linea dell'epoca a forma di "S", caratterizzata dal petto spinto innaturalmente in avanti , appiattisce lo stomaco ed irrigidisce la schiena. Le gonne si allargano sul fondo per facilitare l’andatura, il ballo e il salire e scendere dalle vetture. Le calzature sono gli stivaletti in vernice o capretto. Gli abiti da sera, al contrario presentano profonde scollature, colori scuri e paillettes ,lustrini, perline e jais. I tessuti tendono a diventare sempre più : “ nuvole “ Anche l’intimo si adatta alla sensualità dei colori pastello di mussola o di seta. La pettinatura è vaporosa ed evidenziata da piume e fiori di seta. I fascicoli del “magasin des demoiselles” o “Il corriere delle signore “ dei fratelli Treves “arrivavano presso le signore della piccola nobiltà di provincia siciliana ed oltre ai consigli di “ bon ton “ date alle ragazze da marito, venivano raffigurate le ultime tendenze della moda e, in alcuni casi le tecniche per realizzarli.
Rappresentanti indiscussi della “ belle époque” sono: Ignazio Florio e la Musa per eccellenza Franca Jacona della Motta dei Baroni di San Giuliano, dai Siciliani chiamata: donna Franca. Bella, intelligente di raffinata eleganza, con il marito, fu la “regina di Sicilia “ e tra i maggiori capitalisti degli inizi del XX secolo.
Grazie al particolarissimo ruolo, Donna Bianca Florio, attrasse tra Palermo e Taormina l’élite più prestigiosa internazionale del calibro di Re e Regine. Il suo modo di vestire influenzò l’aristocrazia siciliana e non solo; l’attività dei coniugi Florio trasformò gran parte dell’assetto urbanistico di Palermo ( Basile ). Ettore de Maria Bergler rimase il pù rappresentativo pittore dello stile “ floreale” ( vedi villa Igea dei Florio) o di villa Malfitano dei Whitaker. donna bianca ritratta da Boldini
I Florio consapevoli delle potenzialità dell’artigianato Siciliano, vollero imprimere una svolta modernista all’Isola, sia industriale, occupazionale e culturale. Fu un’occasione irripetibile, che lasciò importanti testimonianze, ma che si infranse con loro declino. La Sicilia perse un’occasione le cui conseguenze si protrassero fino ai nostri giorni, soprattutto nella mancanza di infrastrutture e di politiche industriali.
A partire dal 1910 si afferma un nuovo abito dalla linea diritta e slanciata; gonne strette e scomode per camminare .Le stoffe utilizzate per gli abiti sono leggere e trasparenti, sovrapposte fra loro, e spesso ricamate o decorate da strass e perline. I cappelli dalle tese larghissime e con molte decorazioni. Le scarpe per la sera hanno nastri di raso avvolti intorno alla caviglia adatte al nuovo ballo importato dall’argentina, il tango. la perplessità del mondo cattolico erano espresse, ai parroci di Roma, proprio da una nota del Papa del tempo. "con vivo dolore"- si apprendeva dell'introduzione di "una certa danza che, come venne d'oltremare è nel suo appellativo e nel fatto gravemente oltraggiosa al pudore, e che per questo fu già condannata da tanti illustri vescovi e proibita anche in paesi protestanti. In questa triste condizione è necessario che quanti hanno cura di anime levino coraggiosamente la voce in difesa della santità del costume cristiano e si adoperino con vigilanza a tener lontani i fedeli dai pericoli che minacciano di travolgerli nell'immoralità di un nuovo paganesimo."[...]
Con la prima Guerra Mondiale(1914-1918) , con gli uomini ed anche i civili al fronte, tutti gli aspetti della vita quotidiana, vengono sovvertiti. Le donne in particolare: mogli, mondane, oggetto del desiderio , ornamento delle feste, eleganti per forza si trovano a svolgere compiti di esclusiva competenza maschile e per forza di cose iniziano ad entrare nel mondo del lavoro, della fabbrica, degli uffici, dei servizi. Le gonne lunghe e strette precedenti non sono piu’ adatte a questa nuova situazione ed è giocoforza vegano sostituite da gonne piu’ corte e soprattutto piu’ larghe per evitare interferenze con i movimenti .Molti degli abiti di questi anni si rifanno alle divise militari sia nelle forme che nei colori cui debbono adattarsi anche le scarpe, arricchite di fibbie e cinturini. Il busto va scomparendo, sostituito da un prototipo di reggiseno(inventato nel 1909 dallo stilista più in voga Paul Poiret ). Durante la guerra si diffonde anche il tailleur molto semplice, ritenuto più adatto.
TRA LE II GUERRE MONDIALI DEL XX SECOLO :
Le donne , dal conflitto bellico, trassero una consapevolezza delle proprie possibilità fino ad allora del tutto mortificata. Non furono più disposte a fare da tappezzeria di lusso costrette in lussuosissime “ camicie di forza”. Gli abiti da lavoro non erano eleganti , ma venne apprezzata la loro comodità. Negli anni venti, “ finiva un mondo, un altro stava per nascere. Io stavo là; si presentò un’opportunità, la presi. Avevo l’età di quel secolo nuovo che si rivolse dunque a me per l’espressione del suo guardaroba. occorreva semplicità, comodità, nitidezza: gli offrii tutto questo, a sua insaputa “ Il vero “potere “ condizionante” della moda sta tutto in quel “ a sua insaputa” della Chanel, che intuì bene in che cosa consisteva la “magia” della moda. (Cocò Chanel, un secolo di moda italiana). Chanel lanciò la moda del capello corto. Fu una fatalità. Essendosi accidentalmente bruciata i capelli su un fornello, tagliò anche il resto. Dopo poco tempo le giovani alla moda imitarono il suo taglio. Nel 1925 si tenne l’Esposition des Arts Décoratifs et industriels Moderns, una rassegna delle innovazioni nelle arti applicate, che segnò la disfatta dello stilista Paul Poiret, rivale di Coco. Chanel imponeva il nuovo stile la cui parola chiave era comodità. Chanel, tra l’altro, è una delle prime donne ad indossare i pantaloni. Colonna sonora dell’epoca è la musica charleston.
Il punto vita bistrattato per tutti gli anni ’20, è ora valorizzato da cinture, spesso utilizzate anche sui cappotti, rigorosamente lunghi al polpaccio. Le gonne erano accompagnate da camicie o maglioncini. Di giorno, l’eleganza si sposava con il tailleur pantalone, con giacche strette in vita e spalle quadrate grazie a imbottiture interne nascoste. D’inverno, vistosi colli di pelliccia, accompagnati da cappelli dalla visiera ampia. Gli abiti da sera: lunghi e più fascianti sul corpo..Tali abiti si aprono a vertiginose scollature sulla schiena. Torna a essere protagonista il tacco alto. La nuova musa di questo stile fu una sarta italiana emigrata in Francia: Elsa Schiapparelli. Influenzata dal Surrealismo e dal Cubismo ispirò molti dei suoi capi ai quadri di Dalì e Picasso.
MUSSOLINI IL FASCISMO E LA MODA:
Con la presa del potere nel 1922 Mussolini cercherà, secondo i dettami della sua ideologia di contrastare, spesso invano, il modo di vestire delle donne. Il crollo di Wall Street del 29 aveva avuto un effetto recessivo sull’Europa senza precedenti e la crisi occupazionale che ne seguì influenzò anche il mondo della modi di cui Parigi era il “ faro “. Mussolini, aveva, nella rappresentazione del femminile, più l’idea della “ Matrona “ , della “ Mater familiae” di stazza robusta e prolifica, che quello della donna indipendente. Attraverso il “ giornale della donna “, “ Camerate a noi “ il “ Popolo d’Italia “Nel 1935 fu fondato l’Ente Nazionale della Moda con sede a Torino per la diffusione della moda “nazionalista “ nel clima di una sempre più indipendenza da prodotti provenienti dalle’Estero: “ Autarchia “. Il fascismo detestava le “ manichine “ e prediligeva le belle ragazze robuste e mammifere. Nel 1941 entrarono in vigore le tessere per l’abbigliamento, e si dovette ricorrere sempre più a materiali poveri. L’economia di guerra lanciò tuttavia alcune mode: i cappellini con la veletta ma soprattutto le “ scarpe con la zeppa “
Al termine della disastrosa immane tragedia, le italiane si ritrovarono a dover fare i conti con la sopravvivenza giornaliera. Di moda non si parlò per un bel po’.
Abbiamo detto , in apertura di queste sparse considerazioni, come il “ caso “ volle che proprio a Mirto abbia preso forma un museo “ unico “ nel suo genere, di valenza pubblica. E, ancora per una serie fortuita di “ casi “ ci si imbatte in un personaggio a dir poco singolare come “ Mimma Ferraro ,per il tramite del nipote Carmelo e poi della figlia dott.ssa Maria Antonella . “ Madama Ferraro “vestì le signore e signorine della Messina bene e non solo. Mimma, intuì per istinto, ciò che nel 1857 Worth aveva assolutamente voluto per la sua maison. Per Worth e quindi per Mimma, il couturier non era più un semplice artigiano, ma rivendicava un ruolo di lavoratore intellettuale o artistico , che aggiungeva alla sapienza del mestiere la propria creatività e ne richiedeva un riconoscimento specifico a differenza delle copie in serie realizzati per la “massa “ di acquirenti dei “ grandi Magazzini “, fino ad arrivare ai mercatini rionali di piccoli e grandi Centri: “ la negazione” delle fibre naturali, ed il trionfo dell’omologazione in “ acrilico”. Di pregevolissima qualità, sono i capi di alta moda che gli eredi hanno voluto donare al museo .
Un particolare ringraziamento va espresso alla conterranea attrice Maria Grazia Cucinotta, che si è prestata ad indossare un abito del museo, quale ideale portatrice della bellezza sicula e per amicizia con Pippo Miraudo e per l’intelligenza e la generosità che la contraddistinguono.
Un ricordo nasce spontaneo e doveroso per Vincenzo Consolo, uno dei più grandi rappresentanti della narrativa taliana, di recente scomparso, che nei suoi “ ritorni “ in Sicilia non mancava di visitarlo.
Un ringraziamento, va a tutti coloro, che hanno contribuito, ognuno per i propri compiti e le proprie responsabilità alla salvaguardia del museo.
Un grazie infine, a chi , da semplice privato, ha sentito, da cittadino di Mirto, un po’ suo, questo singolare museo.
Prefazione a cura del Direttore
Arch. Giuseppe Miraudo